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Genoa

Gigi Meroni. La fantasia al potere tra Genoa e Torino.

Pubblichiamo un prezioso contributo dello scrittore Franco Venturelli,  memoria storica del Genoa, incentrato sul rapporto tra l’ecclettica ala destra Gigi Meroni e la storia del grifone.

Il ricordo riguarda un momento topico di questa squadra e dei suoi tifosi, quando, nel 1964, il compianto attaccante fu ceduto al Torino. La geniale e funambolica ala destra, di cui è da poco ricorso l’anniversario della scomparsa, avvenuta il 15 ottobre 1967, ad appena 24 anni.

L’intervento dello scrittore è preceduto da un’ampia premessa in cui sono inquadrati fatti, aneddoti e polemiche relativi a quegli anni ‘60 di cui Meroni fu protagonista dentro e fuori dal campo da gioco.

Con dovizia di particolari, Venturelli riporta quello che visse in quei momenti “con gli occhi e la mente di un giovane tifoso del grifone“.

Ne emerge un vivido squarcio sulla delusione, il trauma, la rabbia e la conseguente reazione che si propagò in un attimo nella città della Lanterna tra coloro in cui batteva un cuore rossoblù.

Un racconto vivido e carico di pathos che, come con delle pennellate, dipinge ambienti e personaggi con un taglio che va ben oltre il mero fatto sportivo.

Venturelli nei suoi libri e nei suoi scritti, offre, specie ai più giovani, diversi spunti di riflessione sulla realtà del tifo genoano di quei tempi, inseriti nel loro contesto politico sociale.

Un’analisi che nel caso Meroni conduce ad un punto centrale, ovvero a una tesi espressa da un interrogativo che, per l’autore, ha una risposta ovviamente affermativa: “Certe scelte del passato possano aver pesato e influenzato il percorso di una squadra anche dopo decenni?”.

L’incipit “Per me c’è un Genoa prima di Meroni e un Genoa dopo Meroni” è quanto mai eloquente sull’impatto che quella scelta, con la cessione del giovane talento al Torino nel 1964, ebbe sulla storia della squadra rossoblù.

Un discorso che potrebbe sembrare eccessivo in quanto la storia del pallone è carica di proteste e ripensamenti legati alla cessione o al mancato acquisto di giocatori simbolo.  Ma nel calcio alla fine contano i risultati.
Genoa che, secondo il Venturelli pensiero, non è un caso se, proprio dopo quella cessione, non sia più riuscito a esprimersi a quei livelli toccati nel  glorioso passato.

La cessione dal Genoa a Torino

Meroni (nato a Como nel 1943), cresciuto nel vivaio della società lariana,  passò al Genoa nel 1962 a 19 anni.   Nel 1964 il presidente del grifone Giacomo Berrino, per compensare una situazione finanziaria divenuta alquanto critica, accettò i 300 milioni offerti dal patron del Torino Orfeo Pianelli  (275 milioni più l’attaccante Peirò).

Genoa 1962/63

E così che Meroni divenne la “farfalla granata”. La funambolica ala destra, gracile nel fisico, che fece impazzire i tifosi e avversari con i suoi dribbling ubriacanti, i suoi guizzi decisi e imprevedibili e i suoi assist che furono la fortuna dell’attaccante Nestor Combin.  Non segnava molte reti ma i suoi gol non furono mai banali.

Reti e presenze di Gigi Meroni nel Genoa.

Nei due anni al Genoa segnò sette gol in 42 presenze, mentre con il Torino disputò 145 incontri segnando 29 gol. Memorabile fu a San Siro, il 12 marzo 1967, un suo pallonetto, dopo una strepitosa serpentina che sorprese Giacinto Facchetti, che interruppe l’imbattibilità di quella straordinaria Internazionale guidata da  Helenio Herrera detto “il mago”.

Nestor Combin – Attaccante del Torino di nazionalità argentina

Il talento di Meroni fruttò una convocazione in quella nazionale del tecnico Edmondo Fabbri, che   rimase marchiata dall’incredibile eliminazione con la Corea del Nord nei mondiali del 1966 in Inghilterra. Giocò una sola partita con gli azzurri contro l’URSS, (dopo essersi un pochetto accorciato la chioma accontentando patron Pianelli) e qualche amichevole. “So fare gol anche con i capelli lunghi” fu la sua risposta ai benpensanti.

Proteste a Genoa e Torino

Come a Genova anche a Torino le voci su un interesse bianconero verso la farfalla granata portarono alla mobilitazione dei tifosi. Una  protesta che interessò anche gli operai della Fiat che minacciarono il boicottaggio.  Un primo assaggio della compattezza della classe operaia di quei tempi. La protesta ebbe a quanto pare il suo peso nell’impedire, in quel 1967, il trasferimento di Meroni alla Juve.

Reazioni e sviluppi impensabili nel global finance business che prevale su tutto nel calcio di oggi.

L’epoca dei Beatles e dei primordi della contestazione giovanile

Meroni fu un vero alfiere, con estrema naturalezza, di quello spirito beat, ribelle e anticonformista, tipico di quegli anni ‘60 che stavano cambiando un mondo troppo grigio. Fu una sorta di rivoluzione culturale portata avanti da una contestazione giovanile che interessò arte,  musica, costumi sociali, ruolo delle donne,  e solo  in parte la politica. Un quadro illuminato e colorato da quanto arrivava da Carnaby Street, dalle canzoni dei Beatles (di cui Meroni era un grande ammiratore) e dei Rolling Stones, tra capelloni, cinturoni, minigonne e inni ai diritti civili, al pacifismo e alla libertà. Le premesse del “peace and love” del movimento hippy.

Meroni nella sua mansarda di Piazza Castello

Certo stranezze e stravaganze di alcuni giocatori dell’epoca fanno sorridere in confronto a lussi e privilegi smodati di tanti fortunati calciatori di oggi.

Molti hanno riscontrato delle similitudini tra il talento di Meroni e quello di storiche figure, tutto genio e sregolatezza, come George Best e di Omar Sivori.  In realtà l’anticonformismo di Meroni non toccò mai gli eccessi di quel Best nato a Belfast nel 1946.  Era certo stravagante. Amava dipingere e disegnare i propri abiti, le cravatte e restò famoso il suo aver  portato una gallina al guinzaglio.  Certo quello che lo caratterizzò fu quel  personalissimo e autentico spirito ribelle che portava anche in campo con i calzettoni abbassati  come Sivori e la maglia fuori dai pantaloncini, oltre ai capelli lunghi. Particolari che lo fecero diventare protagonista sui media non solo per le cronache sportive. Cosa all’epoca alquanto inusuale.

Meroni , che viveva in una mansarda in Piazza Castello, appena era possibile scappava a Milano per trovare la sua Cristiana Uderstadt. Una bella ragazza milanese figlia di giostrai, conosciuta mentre giocava nel Genoa. Una storia dai dettagli incredibili visto che la ragazza, dopo essersi sposata a 19 anni con un assistente di regia di Vittorio De Sica conosciuto sul set di Boccaccio 70, dopo un anno scappò per raggiungere Meroni a Torino. Il bello è che Meroni fu anche presente a quel  matrimonio che verrà poi annullato dalla Sacra Rota dopo una lunghissima trafila giudiziaria, in quanto mai “consumato”.  Meroni e la Cristiana erano pronti a sposarsi prima che un tragico incidente mettesse fine a  tutti i loro sogni.

George Best – Manchester United

Un tragico carma

Come in un tragico carma la farfalla granata smise di volare, a soli 24 anni, un maledetto 15 ottobre 1967, travolto , attraversando   Corso Re Umberto,  dalla Lancia Appia  guidata Attilio Romero, all’epoca diciannovenne, futuro presidente del Torino Calcio.

Attilio Romero – Ex Presidente Torino F.C.

Il nome di Meroni è legato ad un altro tragico episodio, che solo i tifosi più anziani ricorderanno: quello dell’allenatore argentino Beniamino Santos. Fu colui che credette subito nel talento di Meroni, facendolo scendere subito in campo come titolare dell’attacco rossoblù a soli 19 anni, nonostante la sua mania per i dribbling.  Santos perse la vita in un incidente stradale mentre cercava di rientrare a Genova dalla Spagna, per dare le dimissioni per la cessione del giocatore al Torino avvenuta a sua insaputa. Cessione che accese la forte protesta dei tifosi rossoblù.

Beniamino Santos – Allenatore argentino del Genoa ai tempi di  Meroni

Parlare di Gigi Meroni consente di ripercorrere tutto l’affascinante e tortuoso sentiero culturale e sociale del nostro calcio e della nostra Italia in quegli   anni 60 di crescita e cambiamenti che furono la premessa dei turbolenti anni 70.

Tornando al presente calcistico c’è chi ha riscontrato un possibile parallelo tra Meroni e il gioco imprevedibile della vera sorpresa di questo campionato, il georgiano, in forza al Napoli, Khvicha Kvaratskhelia, 21 anni.

Giocatori che, con il loro stile anarchico, sono in grado di rompere i rigidi schemi che rendono tante partite monotone e ripetitive. Questo  inserendo quei  fattori di  imprevedibilità e fantasia che entusiasmano i tifosi di  un calcio spesso troppo bloccato dall’ossessione dai calcoli per il  controllo del gioco. Giocatori per i quali vale la pena pagare il biglietto allo stadio.

 

Ecco il vivido ricordo di Meroni al Genoa dello scrittore Franco Venturelli, memoria storica del grifone,  che ringraziamo.     

Franco Venturelli: “Per me c’è un Genoa prima e un Genoa dopo Meroni”.

La sera della chiusura del Mercato calciatori dell’estate del 1964, tornai a casa come al solito dopo le 20, quando i miei famigliari stavano già tutti cenando. Mi lavai le mani e mi avviai per sedermi a tavola, quando il bollettino radio delle 20.20 dette la notizia che Meroni era passato, via Inter, dal Genoa al Torino, per una cifra molto elevata, si parlava di oltre 300 milioni.

Feci immediatamente dietro front, andai in sala d’entrata, aprii la porta e mi precipitai giù dalle scale. Udii la voce di mia madre: “Dove vai?”
“A De Ferrari” risposi e un attimo dopo stavo già correndo verso il centro città, perché macchina non ne avevo, e in piazza ci andavo a piedi.

Trovai la piazza intorno a Garibaldi piena di genoani furiosi, che protestavano sotto le finestre della sede, che a quei tempi era al civico numero 6, lato via XXV Aprile.Alle 22 circa, un gruppo di tifosi prese le auto con l’intenzione di piombare al Gallia di Milano, l’hotel dove si teneva il calcio mercato, e costringere Berrino a invalidare il contratto.
Altri tifosi salirono in Sede per avere notizie dettagliate dai presenti, e cercare di mettersi in contatto con Berrino.

Intorno alla mezzanotte molti cominciarono a rientrare a casa, richiamati dall’impegno del lavoro del mattino successivo.

A quei tempi io ero studente, era estate e non avevo impegni impellenti per il giorno dopo. Restai così in piazza fino alle tre di notte. Con me c’era un gruppetto di facinorosi, e per terra un tappeto di cinghini d’orologio di stoffa rossoblù, molto in voga a quei tempi, gettati via da un mare di genoani inviperiti.

Uno dei pochi rimasti a un certo punto disse con tono minaccioso:
“So dove abita Berrino, andiamo ad aspettarlo… Ormai starà tornando da Milano…”

L’iniziativa non ebbe seguito, restammo lì ancora un po’, poi verso le quattro ognuno prese la strada di casa.
Tornai a piedi, comprai della focaccia dal fornaio del mio quartiere, e alle cinque e mezza rientrai in casa, dopo essermi tolto le scarpe, come al solito in quei casi, per non fare rumore e svegliare mia madre.
Mi addormentai con la convinzione di smetterla col Genoa e col calcio.

Questo racconto, che non parla di Meroni ma della sua vendita, dice di lui molto di più di quanto potrebbe dire il racconto delle sue gesta in campo.
Non solo per me, ma per tutti i genoani, Meroni era il simbolo della rinascita del Genoa.

Eravamo nel 1964. Nel 1943 alla sospensione del campionato per la guerra, il Genoa lottava per lo scudetto. Era del 1898 che lo faceva. Lottare per lo scudetto, fino a vent’anni prima, era normale per il Genoa. Ed era normale per tutti i genoani dai trent’anni in su, che avevano visto il Genoa prima della guerra.

Meroni era dunque il giocatore che avrebbe riportato il Genoa al suo posto, ai vertici della classifica.
La sua vendita apriva definitivamente gli occhi a tutti: il Genoa non avrebbe potuto con certezza, in quegli anni, ritornare ai fasti del passato.
Per me come tifoso, era la fine dell’età dell’innocenza. Avendo visto con chiarezza come stessero le cose, volevo smetterla.  Un Genoa senza Meroni non riuscivo proprio a immaginarlo.
Il giorno dopo, quando nella tarda mattinata mi svegliai, guardai le cose da una prospettiva diversa: non dovevo smetterla col Genoa, ma dovevo smetterla di crearmi dei miti.

L’unico mito era il Genoa. Un mito tramandato di padre in figlio, e che ogni generazione aveva il compito di tenere in vita per la generazione successiva.
Da allora, ho apprezzato tanti giocatori, li ho sempre sostenuti tutti, senza distinguere i migliori dai peggiori, ma non ho più avuto idoli. Solo il Genoa.

Meroni ha esordito nel Genoa a Marassi contro l’Inter il primo novembre del 1962. Una domenica nuvolosa, uggiosa, triste.  Venne schierato ala sinistra.
Era piccolo e magro. Il Genoa perse 3 a 1, e tra i tifosi si era subito fatto largo un giudizio categorico: uno con quel fisico non può giocare a pallone.
Ma il giovane Meroni continuò ad essere schierato. A fine campionato furono ben 15 le sue presenze. Ed erano già in molti ad aver cambiato in positivo il giudizio su di lui.

Nel campionato successivo, il 27 ottobre 1963, contro la Fiorentina, marcato dal terzino nazionale Castelletti, Meroni con una prestazione straordinaria entrò di prepotenza nel novero dei fuoriclasse, e da allora si esibì sempre su livelli eccezionali, diventando l’idolo assoluto dell’intera tifoseria.
Non era un goleador, ma i suoi gol erano speciali, mai banali e sempre decisivi.
Era soprattutto un trascinatore, il quale come il mitico Sivori, usava le innate doti tecniche di palleggio e dribbling, per arrivare al gol, e non certo per il gusto dello spettacolo.

Omar Sivori – Ala della Juventus

Le sue doti erano talmente elevate, da attirare le attenzioni dell’avvocato Agnelli, notoriamente il buongustaio calcistico numero uno in Italia. E quando Sivori per limiti d’età lasciò la Juve, l’avvocato volle Meroni al suo posto. Più in alto di così il ragazzo venuto nel Genoa dal Como, non poteva arrivare.
Poi di fatto alla Juve non andrà, perché i tifosi del Toro minacciarono una rivolta di piazza, e Agnelli per evitare guai in città, preferì rinunciare”.
Fino alla retrocessione del 1951 il Genoa godeva di grande considerazione a livello nazionale.
Quando alla fine di dicembre del 1948 sconfisse nel “catino di Marassi” -come a quei tempi i media chiamavano il nostro stadio- il Grande Torino, il miglior giornalista sportivo italiano, Emilio De Martino, in prima pagina sulla Gazzetta dello Sport, scriveva che il Genoa -dalla difesa fortissima- poteva vincere il campionato.
È in questo ambiente che io ho vissuto la mia infanzia di genoano, col Genoa al primo posto nella speciale classifica degli scudetti vinti in Italia.
La retrocessione del 1951 fu un trauma per i genoani e colse di sorpresa tutta l’Italia del calcio.
La principale rivista sportiva italiana, “Il Calcio e il Ciclismo Illustrato” fece un’inchiesta dal titolo: “Ma cosa ha questo Genoa?”

Agli inizi degli anni ’50 il Genoa conservava ancora intatto tutto il fascino e l’ascendente di squadra pioniere del calcio italiano. La Juve, quando scendeva a Marassi contro il Genoa, dava un premio speciale ai suoi giocatori in caso di risultati positivo.

Tutto questo per far capire che l’aspirazione dei genoani di vedere il Genoa tornare grande con Meroni, non era insensata.
Al contrario era in linea con la storia fino a quel tempo.
Santos, il bravo allenatore morto tragicamente mentre cercava di tornare in anticipo dalle ferie estive in Spagna, per reinventare un Genoa senza Meroni, diceva di lui: “…in campo è libero di fare quello che vuole, è il nostro brasiliano e non gli posso imporre nulla”,. Erano i tempi che i brasiliani dominavano il calcio mondiale.

Un tifoso della Nord aveva scritto una canzone per Meroni che terminava con le parole: “… e u ne faia mette a Stella in sciu Griffon
Scritta in genovese, come parlavano i genoani di quei tempi, e con due “f” nella parola Grifone, come si pronuncia in genovese.
“Adesso la pianto ma, come ben vedi, sul Genoa e i genoani ai tempi di Meroni potrei scrivere tutto il giorno” . E’ la considerazione  conclusiva di un vivido ricordo scritto davvero con il cuore.

In conclusione riportiamo alcuni libri scritti da Franco Venturelli sul suo Genoa.

“La testa nel pallone. Claudio Onofri si racconta”
Venturelli Franco
edizioni COEDIT , 2015

Libro-intervista sulla storia calcistica e non solo di Claudio Onofri. Dagli primi calci  con il  Vanchiglia  prima di diventare una colonna di Torino e Genoa, per poi concludere la carriera di calciatore con il Catania.

 

“Genoa una leggenda in 100 partite. Storie di Genoa e di genoani”
Venturelli Franco
Edizioni Nuova Editrice Genovese, 2010

 

“Genoa: una leggenda in 110 partite”
Venturelli Franco
Edizioni Nuova Editrice Genovese collana, 2011

Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2010 nella redazione di Nuova Società. Interessi estesi dal sociale, alla divulgazione scientifica, con attenzione alla futurologia e al mondo del mistero con grande criticità.

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