“Nello studio di papà si trovavano svariati cimeli e ricordi, ma appese vi erano solo due fotografie: una era della nonna, ritratta da giovane di profilo. Una donna del 900 che aveva visto e vissuto entrambi i conflitti mondiali. L’altra era quella che ritraeva Pelè in rovesciata.
Mio papà vedendomi curiosa mi spiegò: “Una è la nonna e ti somiglia , l’altra è il calcio”.
Ogni volta che entravo di nascosto in quello studio non potevo fare a meno di notare come in entrambe vi fossero gli stessi elementi: Dolore, riscatto, bellezza.
Obrigada”.
EPC
Sono le parole di Emanuela, figlia di Giorgio Perinetti, dirigente del Brescia, che riporta un suo ricordo da bambina legato al campione brasiliano Edson Arantes do Nascimento detto Pelè. Icona del calcio mondiale nato nel 1940 e scomparso il 29 dicembre 2022. Il trascinatore dei bianchi del Santos e della nazionale verdeoro, era alto solo 1.73 ma la sua capacità di elevarsi per colpire di testa o per le sue incredibili rovesciate, era semplicemente spettacolare. Rimase memorabile un suo gol in Mexico 70 contro l’Italia, che lasciò di sasso un mastino come Tarcisio Burchich, sorpreso dallo stacco dell’attaccante della nazionale verdeoro.
La morte di O Rey ha emozionato tutto il mondo. Un talento che rimane nell’immaginario collettivo di più generazioni.
Anche per i più avanti negli anni si tratta di un personaggio che viveva nel mito assoluto anche quando scendeva ancora in campo. Come ha ricordato Perinetti alla figlia “Era il calcio”. Di fronte a queste figure sembrano davvero sterili e discutibili le polemiche che mettono in competizione le grandi icone sportive di tempi diversi. Ogni personaggio è figlio della sua epoca e di condizioni irripetibili. Il calcio cambia. Cambiano i ritmi, i tempi, ma il talento resta la chiave dello spettacolo che, altrimenti, si riduce a soffocanti tattiche che sviliscono l’estro dei singoli, in nome del risultato ad ogni costo. Per questo è assurdo chiedersi se sia più bravo Maradona, Ronaldo, Messi o Pelè. Certo non è un caso se alcuni grandi siano emersi da situazioni difficili, grazie aduna tenacia e una volontà straordinaria supportata dai favori di quella divinità del calcio che il mitico Gianni Brera chiamava Eupalla.
Dolore, riscatto, bellezza, come ben ricorda Emanuela Perinetti.