Di portieri ce ne sono tanti ma chi, tra quelli un po’ avanti negli anni, non ricorda Claudio Garella. E’ grande il dispiacere sentito tra tutti gli amanti del calcio per la notizia della scomparsa dell’ex giocatore a soli 67 anni dopo un intervento chirurgico al cuore. Garella è stato un vero anticipatore del ruolo moderno di portiere. Le sue famose parate di piede, che furono notate anche da Gianni Agnelli, e un modo nuovo di interpretare il ruolo, lo fecero restare nell’immaginario collettivo, anche se non gli mancarono momenti non facili da cui fu sempre capace di riprendersi. Era originario del torinese e si iniziò a distinguere nelle giovanili dei granata. Squadra che è sempre rimasta nel suo cuore, con cui debuttò nel campionato 1972 73. Poi passò alla Lazio, un periodo difficile.
Il suo percorso lo vide poi giocare in B con la Samp dal 1978 al 1981, per poi far parte del Verona di Osvaldo Bagnoli. Qui diventò un autentico simbolo di quei gialloblù che, nella stagione 1984-85, vinsero il loro storico scudetto. Passò poi al Napoli di Maradona vincendo la Coppa Italia e il primo scudetto dei campani nella stagione 1986-87. Come giocatore e come uomo lo ricordano tutti come una persona mite, sensibile e generosa. Un carattere e una tenacia che gli hanno sicuramente consentito di superare momenti critici e imporsi mantenendo la sua originalità in campo. Una tenacia sempre scevra da atteggiamenti presuntuosi e polemici.
Il suo spirito fantasioso e anarchico si manifestava quando era tra i pali. Come tutti gli innovatori e gli originali non gli furono risparmiate le critiche ed elogi tra incredibili interventi e giornate storte. In conclusione riportiamo un toccante cenno di quanto scritto per ricordalo del giornalista Darwin Pastorin: “La morte di un portiere è come la morte di un poeta: svanisce la fantasia, la follia, la purezza, la bellezza. Claudio Garella fu un anarchico del ruolo, uno che “parava senza mani”.
Vinse uno scudetto con il Verona e uno con il Napoli, e siamo alla vigilia di Verona-Napoli, amava Torino e il Toro. Lo ricordo a Chivasso, con il poeta Maurizio Cucchi, commuoversi per la poesia, in dialetto piemontese, dedicata da Giovanni Arpino al Grande Torino. Era un uomo buono, mite, generoso. Ho avuto la fortuna di conoscerlo nei miei giorni da cronista: mai un peccato di arroganza o di presunzione.
Mai. Fu campione con Maradona e con Galderisi, fu per tutti un buon compagno, fuori e dentro il prato verde, e in porta riusciva a compiere miracoli da racconto di Osvaldo Soriano. Era un numero uno per davvero. Un eterno, solare e malinconico ragazzo”. Speriamo che, proprio nel ricordo del loro portiere, per una volta l’imminente sfida Verona Napoli , abbandoni il consueto corollario di cori razzisti e violenti.