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Rubrica -Three Lions

Dalle Notti Magiche alle Notti Tragiche. L’Italia di Mancini è svanita.

Da Belfast: Simone Filippetti.

Se esiste un Dio Vendicativo del calcio, di sicuro vive a Belfast sulle rive del fiume Lagan, in Irlanda del Nord. L’unico modo per arrivarci, anche dall’Inghilterra, è via aereo, e appena si atterra incombe lo spettro di George Best: l’aeroporto è dedicato al più grande giocatore di calcio britannico di tutti i tempi e forse non solo britannico. Per chi deve andare a vincere una partita di pallone, già non è un buon auspicio: se poi c’è in ballo una partita cruciale, la parola “fatidico” sembra l’unica appropriata. E la fatidica Belfast si è rivelata fatale per gli Azzurri.

Ritorno in Albione

Sono passati solo quattro mesi dalla gloria di Euro 2020. Ma sembra un’eternità. L’Italia torna nel Regno Unito che l’ha incoronata regina d’Europa, ma si riprende la quella corona che le è stata tolta immeritatamente. La gioiosa atmosfera delle Notti Magiche degli Europoei è svanita. Ora sono Notti Tragiche. Si gioca l’ultima partita del girone di qualificazione ai Mondiali del Qatar 2022: l’avversario è la nazionale dell’Irlanda del Nord. C’è ancora la perfida Albione incrocia il destino della Nazionale in questo 2021 che per metà dolcissimo e per metà amarissimo. A dar retta al calendario, dovrebbe essere solo una passerella, una dead rubber come le chiamano gli inglesi: una partita pro-forma. Ma gli italiani sono bravissimi a complicarsi la vita (per poi cavarsela in qualche modo). Non stavolta, però: l’arte di arrangiarsi latita. L’Italia non va oltre un deludente zero a zero e la qualificazione ai Mondiali è compromessa perchè la Svizzera ha rifilato 4 “pere” alla Bulgaria. Si dovrà andare ai play-off del prossimo marzo e sperare di vincerli: per i neo-campioni d’Europa è già uno smacco. Il rischio che lo smacco diventi una disfatta è alto. In ogni caso, Mancini ne esce molto ridimensionato. E’ un ct normale.

Corsi e ricorsi

Il clima, nel senso di Giove Pluvio, è sempre lo stesso: era una fredda e piovosa serata di es anomala anche per la grigia Gran Bretagna. E’ una giornata grigia e uggiosa, stessa temperature di Londra a luglio. Anomalia, anch’essa, per essere meta novembre. Sembra che l’insondabile divinità del palllone abbia imbastito un Dejavù. Ma è tutto diverso: dalla astronave carica di gloria e storia che è lo stadio di Wembley, nel cuore di Londra; alla periferia di Windsor Park, lo stadio del football di Belfast, sulle tribune a picco sul campo, la turbolenta e depressa capitale dell’Ulster, terra di secolari problemi. Non nel calcio, però: un tifo pacifico e pacato riempie i 18.500 posti del piccolo stadio. Fuori, all’ingresso del supermercato Marks&Spencer, tifosi bevono lattine di birra prima di entrare. Ci sono anche anziane con la jersey della nazionale.

Dall’aeroporto George Best, si scorgono Samson e Goliath i due giganteschi carri-ponte, oggi in disuso, della Harland&Wolf, il cantiere navale che costruì il Titanic. E come il maledetto transatlantico, gli Azzurri affondano, facendo finta di non vedere l’iceberg verso cui si sono andati a schiantare, sulle melmose sponde del Mare d’Irlanda, che però oggi in Inghilterra chiamano Mare Celtico, perché dopo la Brexit “Irlanda” è una parolaccia che ricorda la UE, mentre i Celti mettono tutti d’accordo.

La fatale Belfast

Tutto congiurava contro: la Storia in primis. Qui nel 1958 gli Azzurri mancarono il loro primo Mondiale. E qui non hanno mai vinto. E pure la statistica condannava la Nazionale: l’Italia non ha mai aperto dei cicli, come ha fatto la Spagna per esempio. Ogni vittoria ai Mondiali o agli Europei, è sempre stato un exploit, un episodio isolato. É successo dopo il 1982, dopo il 2006 e anche stavolta. Nella fatale Belfast, Mancini si è dimenticato di essere il Mancio per indossare i panni di Allegri, la sua Nazionale che faceva della velocità e del collettivo il suo punto di forza, è diventata una Juventus qualsiasi con un’infinità di passaggi orizzontali, poca corsa, un attacco sterile. Quando poi è stata tolta la fantasia un poco ispirato Jorginho e di un ormai sempre meno incisivo Insigne per gli ancor più evanescenti Locatelli, fuoco fatuo degli Europei come lo furono Schillaci e Paolo Rossi; e Bernardeschi, a tratti imbarazzante, la trasformazione in una “squadra inallenabile” (cit. Sarri) è stata complete.

L’Irlanda del Nord ha una difesa corazzata, impreziosita da un portiere tosto, e un gioco basato su scambi rasoterra veloci. Ma più che i meriti, pochi, dell’Irlanda, hanno prevalso i demeriti di un’Italia che ha smarrito per strada anima e gioco: nel primo tempo si è visto il nulla cosmico, coi primi venti minuti dove la linea della difesa nordirlandese all’altezza del centrocampo. Il ct avversario Ian Baraclough, cinquantunenne inglese di Leicester, che ha perso la madre da bambino, ha chiuso il girone con una difesa imbattuta in casa. Per Mancini le cose si mettono male: superare gli spareggi non è impossibile, ma lo spettro di Ventura aleggia sugli Azzurri. Mancare due Mondiali di fila, che vorrebbe dire 12 anni di buco, non solo non è mai successo, ma sarebbe la fine della Nazionale.

Simone Filippetti è giornalista del Sole 24 Ore. Commenta il calcio per Genoani Foresti.

“Simone Filippetti, giornalista del Sole 24 Ore basato a Londra, è autore e commentatore tv. Ha vissuto a Milano e New York. E’ autore di numerosi libri: Serenissimi Affari (Marsilio, 2014); I Signori del Lusso (Sperling&Kupfer 2019); e il recentissimo Un Pianeta Piccolo Piccolo (Il Sole 24 Ore 2021)”

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