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Editoriale

Paolo Barison. Quell’ala sinistra potente che pianse per Nereo Rocco. Tanti gol (trenta nel Genoa). Il ricordo del figlio Andrea: “E’ sempre con me”

“Quanto eri felice papà!”  E’ l’eloquente commento ad una vecchia foto che ritrae l’ala sinistra Paolo Barison con la maglia del Genoa, sorridente a mani alzate, mentre scivola dentro la porta avversaria, dopo un gol alla Roma. Siamo nel gennaio 1959. L’immagine sgranata e in bianco e nero, pubblicata dal figlio Andrea Barison sui social, esalta il pathos e la gioia del giocatore ventiduenne.  A completare il quadro s’intravvedono, calzettoni scarpe e guantoni del portiere avversario. Un’immagine d’altri tempi, mentre resta vivo il ricordo di un ragazzo dal volto pulito che amava il pallone, figlio di quella “razza Piave” che tanti talenti ha regalato al calcio italiano. Un uomo che dopo essere stato protagonista dell’attacco di fior di squadre della serie A degli anni 60, pur di non appendere le scarpette al chiodo, ha continuato a segnare a fine carriera anche in serie D e in Canada.

Chi è over 50 e ama il calcio sicuramente conosce questo giocatore, finito anche nelle cronache rosa per quello scandalo che vide protagonista la moglie di Barison e il centravanti Josè Altafini, in anni in cui non vi era la possibilità di divorziare.

Barison fu un’ala sinistra potente, dirompente in area, (non a caso il suo soprannome era bisonte), tecnico, moderno, bravo con il sinistro e nei colpi di testa e davvero difficile da fermare per i difensori. Un giocatore che, pur apprezzato per grinta e gol, divenne una sorta di nomade protagonista dell’attacco di diverse squadre, in cui era solito permanere per tre o due stagioni. Il tempo giusto per restare nel cuore dei tifosi che lo ricordano per i suoi gol pesanti e il suo emergere da mischie paurose,come contro il Chelsea in casacca giallorossa.

Era nato a Vittorio Veneto nel 1936, dove iniziò il suo percorso calcistico.  Al Genoa arrivò dal Venezia nel 1957, dove realizzò ben 20 gol, contribuendo all’ascesa in B dei lagunari. Con i rossoblù segnò molto (trenta gol) e si consolidò e affermò come talentuoso attaccante. Le sue reti però non bastarono per impedire la retrocessione del grifone dopo tre stagioni in A.   Fu poi attaccante del Milan di Nereo Rocco che nel 1962 vinse lo scudetto (nel triennio con i rossoneri segnò 23 gol in 69 partite) e una Coppa dei Campioni. Viene ricordato dal figlio il suo rimpianto per non aver preso parte a quella finale di Wembley per una scelta che Gipo Viani impose a Nereo Rocco in nome del “difensivismo”.

Nei suoi anni milanesi legò in modo particolare con Gigi Radice, l’amico di una vita, e con Cesare Maldini (che fu testimone alle sue nozze).

Il figlio Andrea, che vive a Torino, ricorda ancora le lacrime di disperazione con cui  papà reagì alla notizia della morte di Nereo Rocco cui era molto legato. “Lui era così, un uomo buono ben voluto da tutti, legato alla famiglia. Un padre che soffriva per dover stare lontano dai suoi cari per trasferte e ritiri e che non ci faceva mai mancare la sua presenza con una telefonata. So che era contento delle varie realtà in cui ha giocato e vissuto”.

Nel 1963 passò per due stagioni alla Samp, con un ottimo rendimento e, nelle due successive, fu il numero 11 della Roma (13 reti), allenata da Oronzo Pugliese, del presidente Evangelisti, con in porta Cudicini. In questo periodo fu nove volte convocato in Nazionale da Edmondo Fabbri realizzando ben sei gol, prendendo anche parte agli sfortunati mondiali del 1966 quelli della Corea del Nord.  Dal 1967 a 31 anni, per tre stagioni, fece poi parte dell’attacco del Napoli di Canè, Juliano e Altafini, orfano di Sivori, segnando 16 reti in 82 partite. Fu l’ultima sua presenza in serie A prima di passare nella Ternana dell’ex compagno di squadra e amico Gastone Bean, non perdendo però mai il suo fiuto del gol.  Terminò la carriera di calciatore in serie D con il Levante Genova, con una breve esperienza in Canada con i Toronto Metros nel 1973-74. Anticipando quel fenomeno che, mentre aumentavano gli “oriundi” (calciatori stranieri che arrivavano in Italia scoprendo lontane origini italiane), ha portato diversi calciatori a fine carriera a cercare gloria e sesterzi in Canada, Cina, Stati Uniti e ora nel calcio arabo dei paperoni.

Il Genoa ha ricordato e ufficializzato il talento di Paolo Barison inserendolo nella sua Hall of Fame. Un riconoscimento che riguarda tutti i protagonisti portatori di lustro e gloria al grifone che si avvia a festeggiare i suoi 130 anni di storia.

Dopo aver operato come osservatore tecnico per il Torino e mentre si stava avviando una carriera da allenatore (nel 1976, per cinque partite, sostituì Giovanni Trapattoni sulla panchina del Milan), diventando il tecnico della Pro Patria di Busto Arsizio nella stagione 1977 1978, il destino di Barison ebbe un tragico epilogo.

Il 17 aprile 1979 la 130 coupé su cui viaggiava, in direzione Torino sull’autostrada dei fiori, insieme all’allenatore Gigi Radice, nei pressi di Andora si scontrò contro un autoarticolato, che, sbandando, aveva sfondato il guard rail. Per il povero Barison non ci fu nulla da fare mentre Radice riuscì a salvarsi. Così il figlio Andrea ricorda i momenti drammatici legati alla scomparsa del padre: “Purtroppo me lo sono potuto godere ben poco. Avevo solo 11 anni e ricordo tutto di quella telefonata alle ore 16 del 17 aprile 1979. Mi mandarono a giocare e poi non mi fecero andare a scuola. Io intuì qualcosa, ma poi ascoltai di nascosto una telefonata e capì tutto. Fu un colpo durissimo, ma i suoi insegnamenti, la bontà d’animo e il suo cuore immenso li porto sempre con me”.

Ricordiamo in conclusione che lo stadio di Vittorio Veneto, la città dove ebbe inizio la sua carriera di calciatore, è a lui intitolato. Per tutti gli appassionati di calcio resta forte il ricordo di un grande attaccante che si è sempre espresso e distinto per impegno, passione e modernità in contesti sportivi, anche molto differenti, fino a quando gli è stato possibile, andando pure in serie D pur di continuare a segnare e a andando ad  allenare per restare vicino a quel mondo del pallone che gli ha dato tanta gioia e sicuramente  molti meno soldi rispetto a quelli che girano oggi per attaccanti del suo calibro.   Non è un caso se sia   rimasto nel cuore dei tifosi di diverse squadre.  Un uomo che non si è mai arreso se non alla disgrazia di un incidente che ha messo fine alla sua vita a soli 42 anni.


Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2010 nella redazione di Nuova Società. Interessi estesi dal sociale, alla divulgazione scientifica, con attenzione alla futurologia e al mondo del mistero con grande criticità.

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