Connect with us

Cessione Genoa

ENRICO PREZIOSI: di Diego Pistacchi.

Un onore per questa testata, pubblicare un articolo di Diego Pistacchi, in un momento così epocale per il Genoa C.F.C.

“Fondo vattene”. Mi porto avanti con la cronaca, ma neppure troppo, visto che c’è già qualche autorevole tifoso che ha “avvertito” il nuovo azionista di riferimento che “qui comandiamo noi” e che “bisogna mettere dei paletti”, pensando già a edificare un bel muro contro chi deve ancora arrivare.
Sembra una recita al teatro dell’assurdo, ma è tutto perfettamente normale. Perché l’avvenuto passaggio di mano della società è la peggiore notizia per gli “antipreziosiani” (non amo dividere sempre tutto in fazioni contrapposte, ma gli ultimi anni di Genoa hanno visto l’esasperazione delle dicotomie). Togliere il “nemico” a chi ne ha fatto una questione di esistenza è come giocare col falso nueve: non dai più riferimenti agli avversari. Ma soprattutto non avere più Preziosi come “padrone”, significa da oggi mettere un punto fermo, azzerare tutto e consegnare la sua presidenza alla storia. Quindi a un’analisi teoricamente più lucida, basata sui fatti, sui numeri.

Personalmente, poter parlare di Preziosi al passato è al contrario un sollievo. Non che mi sia mai fatto condizionare, le critiche sono sempre legittime e chi fa il mio mestiere non ha diritto ad esserne esente, non deve andare a frignare contro i cattivoni che attaccano i giornalisti. Fa parte del gioco, come un calciatore o un allenatore devono tenersi anche i 3 in pagella, così pure chi scrive si espone ad apprezzamenti e attacchi, anche feroci e gratuiti. Dicevo che la cessione è però un sollievo, perché andando ad analizzare pregi e difetti di diciotto anni di Preziosi almeno non mi sentirò dire che quando ne sottolineo gli aspetti positivi lo faccio perché prezzolato o perché il presidente del Genoa ha la sua corte di lacché. O se giudico molto negativamente un allenatore per quello che fa, non ci sarà chi sostiene (per la verità vedo che sono sempre meno) che è solo compiacenza verso chi – ormai – non lo può più cacciare.

E allora parto volentieri dai demeriti di Preziosi, che sono tanti e quasi tutti concentrati nell’ultima parte della sua gestione, negli ultimi anni. Li riassumo fondamentalmente in un peccato gravissimo di cui si è macchiato: non essere più direttamente “dentro” il Genoa, di non avere tutto in mano lui. L’ormai ex proprietario, per varie ragioni, ha iniziato a distaccarsi, a delegare. Troppo. E probabilmente a troppe persone, magari anche sbagliate, finendo per essere sempre costretto a rientrare in tutta fretta, buttare tutto all’aria e ricominciare per salvare la ghirba alla squadra. Una follia dal punto di vista della gestione societaria, che ha tolto ogni possibilità di programmazione, ma una follia anche dal punto di vista economico, avendo dovuto spendere, e non poco, per riparare i danni fatti, pagando il doppio di allenatori e di giocatori rispetto al necessario.


In più con l’aggravante di non aver mai trovato persone giuste per delegare. Non a caso tutto è iniziato dalla fine con Gasperini. Perché pur con tutti i suoi limiti caratteriali, Gasperini in società aveva almeno in mano tutta la parte tecnica. Non c’erano più persone che comandavano e sopra di lui c’era solo il presidente. Per chi sa come funzionano le società, avere tanti che comandano un po’ è il modo migliore di creare divisioni, gelosie, vendette interne. E questo era lo specchio del Genoa degli ultimi anni, con conseguenti addii e arrivi a ripetizione anche nell’organigramma societario.


L’accusa del vendere i giocatori invece non la condivido fino in fondo. Inconsciamente forse anche perché mi trascino dietro dolorosi ricordi dell’infanzia, di quando un tifoso vicentino ci sfotteva: “Poareti, con Prusso e Damiani son ‘ndati in serie B”. Più prosaicamente perché ho vist tante squadre – citate quali “esempi” a cui rifarsi, salvo poi essere dimenticate in fretta – fallire miseramente per aver forzato la mano, per aver esagerato. E questo rischio a mio avviso il Genoa l’ha corso proprio quando Preziosi ha provato a sognare e ha fatto il passo più lungo della gamba. Nell’anno della Uefa, salutati necessariamente Motta e Milito, aveva speso un’esagerazione in giocatori e stipendi. Nei bilanci del Genoa quello  stato l’anno della svolta in negativo, che ha generato un circolo vizioso che ha fatto crescere i debiti.


Infine, mi sia consentito, non riesco a condannare oltre misura Preziosi, perché nelle cessioni, alla fine, ha quasi sempre avuto ragione lui e se si fosse fidato del “cuore” rossoblù dei tifosi, avremmo 38 milioni in meno (quindi il dissesto dietro l’angolo) e un paracarro di centravanti che non segna più in nessun campionato d’Europa, 30 milioni in meno e un ragazzino eterna promessa che gioca una partita a campionato ma almeno non era stato “venduto in culla”. E soprattutto tanti altri campioni con la maglia a quarti non li avremmo visti, perché il limite di una società come il Genoa è questo.
La compravendita compulsiva è un male e l’ultima gestione Preziosi se n’è macchiata. Ma più per l’errore a monte di cui sopra. Per la mancata programmazione dovuta all’assenza dell’uomo solo al comando.


Poi c’è il lato A (dato che per fortuna di lati B non se ne sono visti). La “storia” cui viene consegnata la gestione Preziosi è ovviamente l’incubo peggiore per i suoi detrattori, che hanno visto clamorosamente smentiti tutti i peggiori vaticini reiterati un anno dopo l’altro. Peccato solo che nessuno abbia mai accettato la mia proposta di scommessa, a quest’ora sarei ricco. Perché no, ormai lo si può dire, Preziosi non ha fatto fare al Genoa la fine del Como e del Saronno. E perché no, Preziosi non ha fatto retrocedere il Genoa. E perché no, non è voluto andare in serie B per prendersi il paracadute. E perché sì, volenti o nolenti i numeri dicono che è stato dal punto di vista dei risultati, il miglior presidente del Dopoguerra: nessuno, dal 1934 in poi, ha mai tenuto il Genoa 15 anni consecutivi in serie A. E perché no, non ha permesso che il Genoa fallisse: in un giorno di San Giovanni, patrono di Genova, di 18 anni fa c’era lui (anzi suo figlio) di fronte al giudice del Tribunale di Treviso. Se la società può vantare ancor oggi quel “1893”, quindi se ha avuto quell’appeal per gli acquirenti americani, non è grazie ad alcun genovese o genoano, imprenditore o tifoso. Chi riteneva e ritiene che il Genoa sia cosa sua, quel giorno era al mare. Beh, parlando di amore per la maglia, di onore, di rispetto, di dignità, oggi è importante sapere che chi festeggia ancora il 7 settembre lo può fare solo per un foresto avellinese.


Da quel giorno ci sono state tante gioie e tanti dolori, tanti campioni visti e altrettanti salutati con il magone, tante mosse azzeccate e tanti errori. Ma in 18 anni non c’è mai stata una retrocessione sul campo. E con questo arrivo alla madre di tutte le accuse insieme alla questione della licenza Uefa. Il Genoa di Preziosi, sul campo, ha incassato solo promozioni e risultati. La serie C, dopo un processo farsa nato ancora una volta a Genova, i cui vergognosi retroscena hanno portato a indagini e sequestri contro la Figc dell’epoca, resta una macchia indelebile dell’era Preziosi. L’errore fu pesante, nonostante tutti o quasi, vedendo il Genoa di Cosmi allo sbando, in quei giorni ripetessero: “Speriamo che col Venezia se la compri”. Un anno dopo, per aver rubato 6 o 7 campionati, non una partita, andò “solo” in serie B la Juventus che per anni continuò a contare gli scudetti sul campo. E allora venne spazzata via la dirigenza che conquistò la prima e tuttora unica Coppa dei Campioni vinta sul campo e non sul sangue della storia bianconera. Se da allora la Juve e la Champions hanno sostituto i carabinieri nelle barzellette è forse perché la condanna di un comportamento antisportivo non può comunque inficiare il giudizio sulla capacità e sulla competenza calcistica.
La condanna alla serie C e la licenza Uefa non ottenuta nell’anno della seconda conquista sul campo sono gli altri due capisaldi del bilancio negativo dell’era Preziosi. I Musiello per Pruzzo, i Lorenzini per Branco, i Lassiter per Montella fanno parte della storia del Genoa, con la differenza che prima passavano anni e tanta serie B tra un Briaschi e un Aguilera, pur quando senza sentenza Bosman i giocatori erano proprietà delle squadre e non dei loro procuratori o dei loro capricci.


Infine, last but not least, lo stadio, un altro pezzo di genoanità. Il Ferraris, con tutti i suoi difetti, è ancora la casa del Genoa, difeso contro chi sognava di demolirlo o di fare altri investimenti. Con Preziosi tutto ciò non è accaduto. E’ un altro dato inoppugnabile, che fa vacillare certezze analoghe in chi, sognando California, ora scopre che il Genoa è certamente passato a chi deve per statuto fare business. E al Genoa il business non si fa vendendo magliette ufficiali.


Sarà che ripeto orgoglioso di non avere cugini e quindi sono portato a non entusiasmarmi neppure per gli zii, d’America o meno, ma il futuro si apre adesso, lo traguardo speranzoso e fiducioso, ma non posso fare di più. Quello che è stato il passato invece ormai non cambia. Ormai è storia, cui viene consegnata oggi la più lunga presidenza della storia del Genoa. Del Genoa 1893. Per un genoano, l’unica cosa che conta. Poter dire Genoa 1893 è un qualcosa che garantisce l’amnistia a qualsiasi altro “reato”.

Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2010 nella redazione di Nuova Società. Interessi estesi dal sociale, alla divulgazione scientifica, con attenzione alla futurologia e al mondo del mistero con grande criticità.

1 Comment

1 Comment

  1. Pingback: Il mio "canto" libero: Prez TVB - Genoani Foresti

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *